A un passo dalla leadership: le neuroscienze entrano in azienda

da | Mar 7, 2023

Non è un mistero il fatto che, se ben gestite, alcune situazioni organizzative e di team che viviamo oggigiorno in azienda possono fare la differenza tra il successo e il fallimento di un’impresa.

Oggi ti presento 5 di queste sfide, e la soluzione secondo me più efficace per affrontarle.

1. Passaggio generazionale (o convivenza di diverse generazioni) in azienda

La differenza d’età, oltre che d’approccio al lavoro, può portare a una dissonanza decisionale: se una generazione può essere portata al pensiero analitico e procedurale basato sull’esperienza, un’altra può contare su una maggiore velocità digitale.

Se non troviamo il modo di appianare queste differenze, la possibilità di errori cognitivi e decisionali si alza incredibilmente, con risultati negativi per l’azienda.

2. Assegnare i ruoli tenendo conto delle attitudini

Spesso accade che il miglior commerciale venga promosso a direttore commerciale, che il miglior tecnico diventi il responsabile tecnico.

Il 90% delle volte, chi ottiene quel posto fatica poi a raggiungere le aspettative di produzione legate a quella carica; non è una questione di competenza nell’ambito, ma di attitudine e predisposizione cerebrale al ruolo!

 3. Formare un team coeso

Se formare un team fosse semplice come sembra, tutte le aziende sarebbero già al top del proprio potenziale produttivo.

I team oggigiorno faticano a muoversi in un’unica direzione, spesso a causa del dinamismo di mercato e a situazioni esterne contingenti, ma anche per un disallineamento di valori, una mancata aderenza alle procedure aziendali, alle regole di ingaggio o comportamento non chiare, e così via.

4. Chiarezza riguardo gli obiettivi aziendali, a tutti i livelli

Mi capita spesso di scoprire, parlando singolarmente con i diversi componenti di un team aziendale, che ognuno interpreta in maniera soggettiva un determinato obiettivo del team, portando naturalmente a incomprensioni sulle metodologie migliori di risoluzione dei problemi o di pianificazione strategica.

5. Adeguata comunicazione e interazione tra risorse

Oggi la comunicazione e l’interazione tra persone è diventata molto più complessa di quella che poteva essere 30 anni fa.

Si sono aggiunte tante variabili: dal contesto ambientale alla competitività, dallo stress (aumentato a dismisura) al continuo evolvere del contesto lavorativo.

Un elemento chiave come la comunicazione deve essere sempre al passo con i tempi, e questo è possibile solo se disponi di un’ottima conoscenza dei componenti del tuo team, di come preferiscono apprendere, operare e interagire.

La soluzione

Esiste qualcosa di trasversale che risolva tutte le situazioni descritte, mitigando la distanza comportamentale, valoriale e di aderenza alla vision aziendale che crea in azienda potenziali rischi di incomunicabilità e irraggiungibilità degli obiettivi?

Sì, esiste: bisogna andare alla base del cervello e degli schemi di comportamento. Tramite il NAPTM, un assessment neuroscientifico applicato a un percorso di coaching innovativo, puoi comprendere le preferenze di funzionamento del cervello dei tuoi collaboratori e colmare definitivamente questo gap.

Ne ho parlato durante un webinar dedicato al concetto di leadership e di team, esaminati alla luce delle neuroscienze: se sei curioso di capire come funziona al NAPTM e tutti i modi in cui puoi applicarlo alla tua vita aziendale, puoi scaricare dal pulsante qui sotto un breve estratto video!

Che tu sia imprenditore o che sia manager di una grande azienda, dedica il tuo tempo alla tua formazione: potrebbe essere la soluzione che cercavi.

Dal Q&A del webinar del 3 novembre 2022:

Ti lascio, nel caso in cui il solo video non dovesse soddisfare la tua curiosità, le domande che mi sono state poste al termine del webinar A un passo dalla leadership: le neuroscienze entrano in azienda, con le relative risposte.

Per qualsiasi altra informazione, non esitare a contattarmi!

Domanda: Questo approccio, mi sembra di capire, può essere applicato in ogni ambito. Mi viene da dire anche nella relazione tra moglie e marito, in quella tra coach e atleta, tra i compagni di una squadra sportiva, eccetera. In quest’ultimo caso, come si può intervenire, visto che un atleta ha le sue caratteristiche fisiche già talentuose e ben sviluppate?

Risposta: Hai compreso bene: qui si parla di come il cervello della persona che esegue l’assessment (e il successivo percorso) si comporta sotto determinati stimoli.
In questo specifico contesto sono stati effettuati studi ventennali attraverso imaging, EEG e altri tipi di misurazioni che hanno reso possibile evidenziare le dominanze laterali, le preferenze dei lobi, le preferenze di intelligenza.

Quest’analisi è possibile e valida per tutti, a prescindere dal ruolo o dalla funzione che svolgono quotidianamente nella propria vita lavorativa (o anche privata!): è ovviamente una grande innovazione nell’applicazione delle neuroscienze, in tutti i campi.
Una coppia sposata può beneficiare di questa valutazione per migliorare la propria relazione reciproca e, perché no, anche verso i figli.
Nello sport, per essere specifici, questo assessment permette di aiutare l’atleta e il team a supporto (coach, manager, e così via) a rendere più efficace possibile l’impegno dell’atleta nella specifica disciplina.
Un esempio: se l’atleta gioca uno sport singolo e possiede, per dire, una forte preferenza di intelligenza interpersonale insieme a una emozionale, questo lo renderà più incline a esprimersi, ad apprendere, a giocare da solo; in questo caso, una relazione 1-2-1 tra allenatore e atleta, focalizzata sulla stimolazione di queste parti, aumenterà all’ennesima potenza la capacità di apprendimento dell’atleta e di espressione stessa dei gesti sportivi. Se, al contrario, un atleta ha una preferenza di intelligenza personale ed espressiva, avrà bisogno di uno scambio relazionale con gli altri, di costante confronto, di aiuto da e verso dei compagni: non si troverà a suo agio in uno sport singolo, ma eccellerà in quello di squadra.

Domanda: Il NAPTM, quindi, potrebbe essere molto interessante da utilizzare in una fase di selezione o assunzione di personale. Cosa ne pensi?

Risposta: Assolutamente d’accordo. I processi di selezione vengono fatti principalmente per competenza e si valutano le attitudini attraverso i modelli di domande, o anche attraverso test standardizzati che possano indirizzare il selezionatore verso una direzione attitudinale. Scendere ancora più in profondità, evidenziando le dominanze laterali destra o sinistra, che riportano le caratteristiche di apprendimento e comportamentali associate, integrate alle preferenze di intelligenza, alle preferenze dei lobi e alla gestione dello stress, permette al selezionatore e quindi all’azienda di avere un quadro completo sul candidato. 

In definitiva, si può comprendere:

  • Se quel ruolo è perfettamente adeguato alla persona
  • Come quella persona si comporta in caso di stress o in situazioni particolarmente impegnative
  • Come quella persona interagisce col team, con i collaboratori, con i propri responsabili e manager in situazione “normale” VS sotto stress
  • Come quella persona preferisce operare nel suo ruolo

Sono informazioni che portano all’azienda un valore inestimabile, perché riducono i tempi di formazione, accelerano l’inserimento della persona in azienda e rendono il nuovo assunto più produttivo. Tempi, efficienze e produttività sono i tre parametri con cui ogni azienda deve misurarsi sul mercato.

Domanda: Come possono essere applicate le neuroscienze nel copywriting e, più in generale, nella comunicazione aziendale verso l’esterno?

Risposta: Possiamo fare affidamento alla teoria dei tre cervelli, ai quali ci rivolgiamo in maniera sequenziale:

  1. Mettiamo a proprio agio il cervello rettiliano, conquistandosi la sua fiducia. Il cervello rettile è quello deputato al day-by-day (alla sopravvivenza, se vogliamo) e la fiducia nel contesto e nelle persone che ci circondano è un elemento importantissimo. Se non ispiro fiducia, il mio cliente non acquista il prodotto/servizio, nemmeno se costa poco.
  2. Il secondo step è quello di emozionare la persona, andando a toccare il cervello limbico. Questo è il cervello della relazione, dell’emozione, e per questo viene attivato e lusingato dalle storie, dai racconti, da tutto ciò che suscita una risposta emotiva. Non a caso, nel marketing e al cuore di ogni azienda, si parla spesso di grandi valori universali e sociali: quante pubblicità associano il prodotto al concetto, ad esempio, di famiglia felice?
  3. In ultimo, si porta l’attenzione ai dettagli più concreti come il prezzo, per andare incontro alla parte neocorticale (o anche terzo cervello). Qui, dopo aver conquistato la fiducia del mio interlocutore, dopo averlo convinto e fatto emozionare, lo aiuto a valutare se conviene investire dal punto di vista economico soddisfando la neocorteccia, il lato più logico e razionale del nostro cervello.

Seguendo questo schema, si può certamente applicare la neuroscienza al copywriting.

Dal Q&A del webinar del 2 marzo 2023:

Domanda: Se volessi portare questo modello in azienda, come posso implementarlo e svilupparlo per un’area di dieci persone? Che benefici posso trarne in un medio-lungo periodo?

Risposta: Mi fa piacere che tu abbia identificato il medio-lungo periodo come frazione temporale entro la quale iniziare a vedere i primi risultati: la trasformazione delle abitudini e dei comportamenti, infatti, è un risultato che raramente si fa attendere meno dei sei mesi.

Diffidate da chi vi dice: “ti faccio diventare un genio in 21 giorni, basta cambiare abitudini!”: l’unico modo per modificare i collegamenti neuronali in tempi così brevi e immediati è attraverso un grave trauma che ci spinga a ridefinire le nostre condizioni di sopravvivenza, ma di sicuro non è un metodo raccomandato! Per fortificare e rinnovare le tue connessioni neuronali, avrai bisogno di tempo e pazienza.

Per quanto riguarda l’implementazione di un percorso simile all’interno di un team di dieci persone, come abbiamo visto poco fa parlando del caso studio dell’azienda informatica, bisogna mantenere un approccio propositivo verso il programma, condividendo la voglia di mettersi in discussione e di giocare a carte scoperte per il bene del team e dell’azienda.

Solo così potrete mettere in evidenza le caratteristiche dei singoli e poi dei singoli nel team, dando valore al contributo che ognuno può portare al team e al successo dell’azienda, tenendo conto dell’unicità della persona, delle sue caratteristiche e doti, e come queste vengono spese nel ruolo specifico che questa ricopre.

Ti faccio un esempio: se hai un esperto di marketing che rientra nei parametri del doer, questo sarà un operativo, la cui massima soddisfazione sarà quella di fare sempre di più e meglio; questo, però, non vuol dire che la conseguenza logica debba essere una promozione a marketing manager: il riconoscimento non deve per forza arrivare con una promozione, soprattutto perché non possiamo dare per scontato che il cambio di ruolo sarà apprezzato. Un riconoscimento apprezzato da un doer potrebbe essere un bonus monetario, o l’inserimento in progetti più importanti, seppur mantenendo lo stesso ruolo.

Non facciamo l’errore di pensare che tutti i nostri dipendenti aspirino alla promozione quando dimostrano di essere in gamba: tanti manager credono di fare del bene quando, dopo dieci anni di lavoro in una posizione, decidono di premiare il dipendente promuovendolo a team leader. Purtroppo, però, se quella persona non è neurologicamente predisposta alla leadership, difficilmente diventerà un buon team leader, se non allena il proprio neurodesign in quella direzione.

In questo caso, quello che si può fare è sottoporre la persona e il team all’assessment del NAPTM, per poi proseguire con una serie di workshop mirati alle singole esigenze. È questo il valore di questo percorso: non esiste una formula standard per tutti, lasciando il singolo ad adeguarsi di conseguenza, ma anzi è vero il contrario! Adattiamo il percorso al team, in funzione delle specifiche esigenze del singolo e del team/azienda, ovviamente.

Tra l’altro, questo è davvero un ottimo momento per le aziende che vogliono implementare un percorso simile, in un contesto complesso come quello odierno.

Domanda: Se volessi applicarlo a studenti, o giovani laureandi che si stanno appena avvicinando al mondo del lavoro, come posso sviluppare un percorso basato su questo assessment?

Risposta: Applicare il NAPTM agli studenti o giovani lavoratori ha molto senso: permette di trovare conferme o sfruttare capacità nascoste del proprio bagaglio di competenze cognitive e comportamentali. In ambito universitario, ha la sua ragione di esistere proprio per indirizzare gli studenti a migliorare le proprie modalità di apprendimento e, inoltre, può essere utilizzato come percorso di consapevolezza distribuito liberamente a tutto il corpo studentesco, in accordo con l’istituzione universitaria stessa.

Ad ogni modo, nell’assessment vengono riportate le preferenze di intelligenza, che aiutano a comprendere, assieme alla valutazione delle dominanze e preferenze del cervello, come gestire lo stress e come allenare la flessibilità di caso in caso. In questo modo, lo studente viene indirizzato nel miglior modo possibile di approcciare allo studio, all’apprendimento e al lavoro in base al suo personale neuro design.

Domanda: Abbiamo visto che da un certo livello in poi lo stress diventa negativo, ma prima di quel livello potrebbe essere considerato motivante?

Risposta: Lo stress ha un suo ciclo che, se rappresentato all’interno di un grafico, prenderebbe la forma di una curva a campana: man mano che lo stress aumenta la performance sale; una volta arrivati al punto più alto della curva (diverso da persona a persona) che incrocia performance e stress, troviamo un punto di rottura per cui lo stress continua a salire ma la performance entra in fase discendente.

Lo stress viene infatti categorizzato in due modi: come stress positivo (eustress) che stimola la competitività e la motivazione, e lo stress negativo (distress), che fa calare a picco la produttività e la capacità di risoluzione di problemi.

Quando si arriva all’apice della curva, dunque, è necessario fermarsi e attivare le procedure di rientro dello stress (ad esempio la respirazione, il moto e così via) per assicurarci di non superare mai il punto di rottura, scongiurando il distress.

Domanda: Hai detto che le competenze sono una qualità che può andare in secondo piano rispetto alla flessibilità e agilità mentale, perché le competenze si bloccano quando ci troviamo in una situazione stressante. Perché allora ci sono persone che sotto stress rendono meglio?

Risposta: Molto dipende da quali emisferi usiamo in maniera predominante o preferenziale. 

Se l’emisfero dominante e la modalità di utilizzo del cervello sono allineati proprio al ruolo, è probabile che lo stress incentivi la persona a fare meglio, perché le aree neurologiche che andranno a spegnersi non sono rilevanti per il lavoro che si sta svolgendo; viceversa, in base al contesto, al tipo di mansione e di neuro design del soggetto, si può avere l’effetto contrario e più comune, portando il lavoratore a commettere errori anche banali.

Domanda: L’allenamento del pensiero laterale può limitare l’insorgenza della condizione di stress? 

Risposta: Il pensiero laterale (detto anche pensiero out of the box) è, per la maggior parte, prerogativa dell’emisfero destro, deputato alla creatività, alla visione di insieme e quindi anche alla scoperta di nuovi mondi.

Dagli studi fatti finora, non sembra esserci una stretta correlazione tra lo sviluppo del pensiero laterale e l’insorgenza dello stress, fintantoché gli emisferi lavorano bene insieme.

Domanda: Da questo webinar potrebbero prendere buoni spunti quegli avvocati difensori di chi ha causato una strage perché sotto stress! 

Risposta: In effetti, hai ragione! La maggior parte degli incidenti, al di là delle situazioni critiche causate da alcol o droghe, sono causati da stress: questo spegne alcune regioni del cervello e, se in quel momento la parte non dominante del mio cervello che si sta spegnendo è quella deputata all’udito (es: l’emisfero sinistro), possono venirsi a creare dei vuoti sensoriali, aumentando esponenzialmente i rischi, soprattutto se in presenza di tanti stimoli sensoriali o a causa, a volte, anche di sonno o mancanza di energia. 

Sull'autore

Roberto Patricolo

Sono sempre stato affascinato dal perché delle cose: la curiosità sul funzionamento della natura umana e delle relazioni interpersonali mi accompagna fin dall’infanzia, ed è ora un lavoro che svolgo con passione e soddisfazione.
Credo fermamente nell’equivalenza tra benessere e produttività, a qualsiasi livello: con tutte le competenze e le esperienze che ho vissuto fino ad oggi, sono qui per renderti la migliore versione di te stesso.

Articoli Correlati

Contatti

Affidarti a me vuol dire prendere consapevolezza delle tue capacità e emanciparti dai dubbi e dalle incertezze.
Basta aspettare che le cose cambino da sole: hai già tutto quello che ti serve, permettimi di dimostrartelo.