Era solo una questione di tempo prima che in questo blog, votato allo studio della mente umana e delle neuroscienze, comparisse un articolo sui bias cognitivi e sulle euristiche, alcuni dei più importanti (e affascinanti, se vogliamo) meccanismi nascosti sotto la superficie dei nostri comportamenti.
Ma muoviamoci un passo alla volta: cominciamo dal capire cosa sono i bias cognitivi e cosa le euristiche!
Cosa sono le euristiche cognitive?
Il modo più semplice di spiegare cosa sono le euristiche è partendo dal presupposto che il nostro cervello è un organo, paradossalmente, molto pigro: ogni suo funzionamento è volto al risparmio d’energia, o quanto meno al dispendio nel minor quantitativo possibile di questa.
Nel processo cognitivo in generale, ma soprattutto in situazioni in cui ci viene richiesto di prendere decisioni in modo veloce e intuitivo, il nostro cervello ricorre ad alcune scorciatoie mentali, così da riuscire a costruirsi un’idea più o meno dettagliata sull’argomento proposto, senza dover fare troppi sforzi cognitivi.
Queste scorciatoie vengono chiamate euristiche cognitive: degli escamotage mentali che garantiscono conclusioni veloci con il minimo sforzo energetico.
È un’euristica, ad esempio, quella che riconosce l’espressione ritratta in foto come una di rabbia.
Cosa sono i bias cognitivi?
Purtroppo sappiamo che la natura umana, per quanto spettacolare, è spesso molto lontana dall’infallibilità; così, laddove il nostro cervello fa del proprio meglio per processare i milioni di impulsi nel modo più veloce e meno dispendioso possibile, succede a volte che queste scorciatoie finiscano per calcare percorsi errati o deformati, fondati su pregiudizi o ideologie.
Questo particolare tipo di euristiche prende il nome di bias cognitivi, o anche pregiudizi cognitivi: oltre a portare a conclusioni o processi cognitivi erronei, i bias si dimostrano spesso anche inefficaci.
Possiamo definirli, in un certo senso, dei veri e propri errori cognitivi che hanno un impatto (grande o piccolo) sulla nostra vita di tutti i giorni, sul nostro modo di pensare e di prendere decisioni.
Analizzando le prime considerazioni che sorgono guardando la foto qui sotto, potremmo individuare alcuni bias cognitivi. Per esempio, se ti chiedessi di identificare la professione di questa persona, quante sono le probabilità che tu risponda “infermiera” invece che “dottoressa”?
Esempi di euristiche e bias cognitivi
Il lato positivo di questo aspetto è che se sbagliare è umano, allora sei in ottima compagnia: nessuno di noi è immune ai bias cognitivi!
Ma cosa fare allora? Dobbiamo forse arrenderci alla nostra natura e diabolicamente perseverare nei nostri pregiudizi?
Be’, ora che conosciamo come funziona questo meccanismo, diventa quasi un nostro obbligo morale cercare di riconoscerlo e decostruirlo; per questo, ti mostro alcuni esempi dei più comuni bias cognitivi: fanne buon uso!
Euristica della disponibilità
Il nostro cervello tende a dare priorità a informazioni che riesce a richiamare velocemente: i nostri ricordi più freschi o i dettagli acquisiti più recentemente assumono la precedenza su tutto ciò che richiede maggiore tempo ed energia per essere ricordato.
Troviamo spesso nei media, avrai notato, la proliferazione di informazioni riguardo un preciso tema a seguito di un evento significativo: ad esempio, a seguito di un incidente aereo, l’attenzione dei telegiornali sembra focalizzarsi su accadimenti simili; lo stesso vale per altri momenti di cronaca.
Possiamo trovare l’euristica della disponibilità anche nel modo in cui leggiamo alcune notizie recenti: sentendo parlare di vaiolo delle scimmie, la nostra mente corre quasi sicuramente alla recente pandemia di Covid-19, facendo nascere in noi la domanda “sta accadendo di nuovo?”.
Bias attentivo
Il bias dell’attenzione, o bias attentivo, è un’altra delle eredità della nostra vita più antica: utilissimo quando si convive con dei predatori, ancora utile (ma con alcune limitazioni) da quando la specie umana si è evoluta e ha abbandonato le caverne e la caccia in favore di comodi appartamenti e schermi del computer.
Questo bias ci spinge a dare maggiore rilevanza a stimoli che riteniamo spiacevoli o addirittura minacciosi, con l’obiettivo evolutivo di sopravvivere ad eventuali situazioni di pericolo.
Oltre a intaccare il nostro processo decisionale, questo bias si trova anche alla base di tante ansie o fobie che potrebbero sembrare, ad una prima considerazione, quasi immotivate.
Effetto Carrozzone
Anche conosciuto come effetto bandwagon, questo bias è uno dei più comuni e famosi nella nostra vita e nella cultura popolare.
Molto semplicemente: siamo mossi dalla massa. Ti sarà capitato forse di provare una dieta famosa solo perché di moda, o di sederti in un ristorante perché l’hai visto pieno e hai pensato fosse prova inconfutabile di una cucina ottima.
L’uomo è un animale sociale e, lungo tutta la sua storia evolutiva, trova nel prossimo un alleato fondamentale alla sopravvivenza: è quasi scontato che il nostro cervello si sia evoluto in modo da considerare la scelta del “gregge” come la più sicura e affidabile!
Allo stesso tempo, questo bias può rivelarsi dannoso in situazioni in cui c’è bisogno di innovazione e di rottura di schemi: davanti alla necessità di prendere decisioni in gruppo, l’effetto carrozzone ci porta a escludere alcune opzioni decisionali semplicemente perché meno gettonate tra i colleghi, ma non necessariamente meno utili.
Bias dell’eccesso di fiducia
Noto anche come overconfidence, il bias dell’eccesso di fiducia ci porta a sovrastimare le nostre capacità e abilità, aumentando spropositatamente la fiducia in noi stessi.
Anche se la fiducia in sé stessi è generalmente una buona cosa, l’eccesso di essa può causare qualche danno: il risultato più comune è quello di sottovalutare il problema che ci viene posto, con tutte le conseguenze del caso.
Bias dell’autorità
È scientificamente provato che tendiamo a ritenere più accurata o valida l’opinione di qualcuno che stimiamo o che ricopre un ruolo di autorità nei nostri confronti.
Il bias dell’autorità tocca la percezione inconscia che abbiamo delle persone che ci circondano: nasce probabilmente in età infantile, quando i nostri genitori (e in generale gli adulti nella nostra vita) non sono solo delle autorità ma anche guide fondamentale al nostro sviluppo psicologico e fisico.
Ci si ritorce contro in situazioni lavorative quando ci sentiamo istintivamente di scartare l’idea di un collega solo perché contraria a quella esposta dal nostro manager, a prescindere da una valutazione oggettiva delle due.
Effetto Alone
Uno dei bias più diffusi, l’effetto alone (o halo effect) ci porta a considerare un singolo tratto positivo di una persona come collegato ad altri tratti positivi, che sono in realtà totalmente arbitrari.
Ad esempio, è comune giudicare una persona di bell’aspetto come affidabile o intelligente; o anche, ci viene naturale pensare che una persona esperta in un determinato campo possa esserlo anche in un campo totalmente diverso.
L’halo effect è anche comunemente usato nel marketing. Al giorno d’oggi, non esiste trailer di un nuovo film che non riporti almeno un “dal regista di…” o anche “tratto dal best seller…”: associare un nuovo prodotto a una figura riconosciuta e apprezzata assicura un trasferimento automatico di valore nella mente del pubblico.
Effetto esca
Chiamato anche effetto di dominanza asimmetrica o decoy effect, questo bias si presenta, come l’effetto alone, con una certa prevalenza nel marketing.
Ogni volta che entri in un fast food (o spesso anche quando richiedi un preventivo per un servizio), ti verranno presentate tre declinazioni del prodotto che cerchi, con tre prezzi diversi: in questo modo, inconsciamente, la tua scelta verrà guidata verso l’opzione più desiderabile per il venditore.
Per fare un esempio: sei al cinema e vuoi acquistare una porzione di popcorn da goderti durante il film. Al bancone ti vengono proposte due grandezze: la piccola a €3 e la media a €6,50.
Considerando che vuoi solo un piccolo snack, probabilmente farai qualche considerazione sulla quantità dei popcorn e trarrai delle conclusioni riguardo al prezzo troppo elevato della grandezza media, acquistando dunque l’opzione più economica.
Ma se all’equazione aggiungiamo una terza opzione, un’esca, come cambiano le cose?
Lo staff al bancone ti spiega che oltre al menù piccolo a €3 e al medio a €6,50, c’è anche quello grande a €8.
Introducendo questa asimmetria, il nostro cervello tenderà a valutare l’opzione media come quella con più valore (la scelta più ragionevole, se vogliamo), portandoci a spendere di più.
Effetto Dunning-Kruger
Secondo questo bias, che prende il nome dai due psicologi che l’hanno identificato (David Dunning e Justin Kruger), le persone meno competenti tendono a sopravvalutare il proprio livello di conoscenza e bravura; poiché non sono consapevoli delle proprie carenze, queste persone generalmente presumono di non averne.
Al contrario, più ci si specializza in un campo o su un determinato argomento, più si diventa consapevoli della vastità di elementi da scoprire e imparare per ampliare le proprie conoscenze.
Anche questo è un bias famoso e forse ti ricorderai la famosa citazione di Socrate: “so di non sapere”!
Effetto Placebo ed Effetto Nocebo
Altro bias conosciutissimo nella cultura popolare è l’effetto placebo: se siamo convinti che qualcosa ci faccia bene, il nostro corpo tenderà a reagire di conseguenza. Anche se più comunemente associato al campo medico (soprattutto riguardo alla cura del dolore), non si limita ad esso: può applicarsi anche a una situazione astratta, a una decisione di vita, e così via.
Lo stesso vale per il suo opposto, l’effetto nocebo: se ci convinciamo che una cosa possa farci male, il nostro corpo e la nostra mente ci porteranno a respingerla.
Bias dell’auto-attribuzione del merito
Simile al bias dell’eccesso di fiducia, il bias dell’auto-attribuzione del merito (o self-attribution bias) ci porta a considerare i nostri successi come solo nostri, e i nostri errori come causati da fattori esterni o da altre persone.
Potremmo considerarlo una sorta di processo di autoconsolazione, se vogliamo; quante volte abbiamo sentito dire una frase tipo: “non è il progetto a non essere valido, è il cliente che non l’ha capito”?
Effetto priming
L’effetto priming ha come risultato quello di influenzare il modo in cui percepiamo l’esposizione a un dato stimolo sensoriale (visivo, verbale, uditivo, e così via) in base alle esperienze simili alle quali siamo stati esposti in passato.
Ad esempio, se ti elencassi delle parole come ragù, tegame, carne tritata, sugo, e ti chiedessi poi di dirmi un colore, probabilmente il primo a venirti in mente sarebbe il rosso!
Bias dello status quo
Oltre ad essere animali sociali, siamo anche degli abitudinari: il bias dello status quo ci porta a preferire la strada sulla quale ci troviamo, anche se sconveniente, rispetto a una strada nuova ma sconosciuta.
Nella mia esperienza, l’unico modo per combattere questo bias è lavorare sul proprio mindset: ne parlo nell’articolo Mindset: cosè e come cambiarlo, se ti interessa.
Conclusioni
Ora che conosciamo tutti questi bias, la domanda da porsi è: cosa ce ne facciamo? Li combattiamo, ovviamente!
Inizia con un esercizio molto semplice: ripensa ad alcune situazioni dell’ultima settimana e associa i tuoi comportamenti ai bias che ti ho appena descritto. Ti sorprenderai nello scoprire quanto spesso compariranno nei tuoi schemi di pensiero!
E se vuoi fare un salto ancora più alto, contattami e parliamo del mio percorso Performare per le aziende e i team: miglioriamo le tue capacità decisionali e quelle dei tuoi collaboratori, e addio bias.