Cambiamento: una parola che nasconde un mondo fatto di successi, fallimenti, trasformazioni, compromessi, studi, emozioni, e tanto altro.
Se mi segui da un po’, sai che il mio modo di approcciare alla crescita personale e professionale è quello di partire dalla base, dalle neuroscienze, dalla psicologia cognitiva e dell’apprendimento, da come siamo fatti biologicamente.
Questa è l’impronta con cui affronteremo il tema di questo articolo, esplorando le diverse fasi del cambiamento, per poi analizzare i bias cognitivi ad esso legati e come sfruttarli a nostro vantaggio, quanto stress e cambiamento vanno a braccetto e, infine, come si fa ad affrontare il cambiamento.
A fondo pagina, ti prometto, sarai in grado di rispondere all’annosa domanda: il cambiamento è un problema o un’opportunità?
Le 4 fasi del cambiamento
Cominciamo dal parlare di cosa comporta il cambiare dal punto di vista evolutivo, ancora prima che dal punto di vista sociale, economico, professionale o lavorativo.
Per farlo, dobbiamo prima capire come funziona il cambiamento o come influisce sul nostro modo di essere e di pensare.
Potremmo definire il cambiamento come una sorta di viaggio dell’eroe; conosci questa metafora narrativa? Come l’eroe di una storia, quando affrontiamo un cambiamento, attraversiamo quattro fasi ben distinte prima di arrivare alla trasformazione vera e propria:
- Il momento della negazione, quando ci rifiutiamo di accettare la necessità o il vantaggio di cambiare;
- Il momento della contemplazione o consapevolezza, quando iniziamo a raccogliere informazioni e il nostro cervello comprende la necessità di sperimentare nuove cose per adattarsi alla nuova situazione;
- Il momento della preparazione, quando, presa ormai consapevolezza della necessità di agire, cominciamo a pianificare le nostre future azioni;
- L’azione, ovvero il viaggio vero e proprio verso il nostro nuovo essere, plasmato e modellato dalle nuove circostanze.
- Il momento della negazione, quando ci rifiutiamo di accettare la necessità o il vantaggio di cambiare;
- Il momento della contemplazione o consapevolezza, quando iniziamo a raccogliere informazioni e il nostro cervello comprende la necessità di sperimentare nuove cose per adattarsi alla nuova situazione;
- Il momento della preparazione, quando, presa ormai consapevolezza della necessità di agire, cominciamo a pianificare le nostre future azioni;
- L’azione, ovvero il viaggio vero e proprio verso il nostro nuovo essere, plasmato e modellato dalle nuove circostanze.
È bene ricordare che queste quattro fasi sono inevitabilmente accompagnate da un certo grado di emotività: ognuno di noi vive il cambiamento con la propria emotività in funzione di quanto siamo neuro-flessibili, cioè di quanto siamo abituati a gestire situazioni in continua evoluzione.
I bias cognitivi nel cambiamento
Un altro aspetto di cui voglio farti prendere consapevolezza nel cambiamento è legato a qualcosa che, probabilmente hai già sentito nominare: i bias cognitivi.
I bias cognitivi (o pregiudizi cognitivi) sono delle scorciatoie mentali innate nell’elaborazione e interpretazione di informazioni: il loro scopo è quello di farci risparmiare energia nel processo decisionale, aiutandoci a raggiungere una decisione nel modo più veloce e semplice possibile.
Se questo può essere un grande vantaggio in alcune situazioni (ad esempio, in caso di pericolo), in altre possono portare fuori strada.
È importante sottolineare che i bias non sono per natura nè buoni nè cattivi, nè belli nè brutti; sono semplicemente dei meccanismi che il nostro cervello pone in essere quando dobbiamo prendere delle decisioni. E se consideriamo che un essere umano prende in media 30.000 decisioni al giorno, è facile capire che condividiamo con i bias gran parte della nostra esistenza!
Nel cambiamento, forzato o meno, i bias cognitivi giocano un ruolo fondamentale. In particolare voglio menzionartene due: il bias dello status quo e il bias dell’avversione alla perdita.
Bias dello status quo (con esempi)

Il bias dello status quo ci obbliga a rimanere, appunto, nello stato corrente delle cose, presumendo che lo stato nuovo possa essere rischioso.
Ti ricordi il vecchio detto? Chi lascia la strada vecchia per quella nuova, sa quel che lascia, non sa quel che trova!
Non devi stupirti nello scoprire che anche i proverbi e i modi di dire hanno un grande effetto su di noi, soprattutto se queste credenze ci sono state presentate da persone che ricoprono o hanno ricoperto per noi ruoli di influenza (un parente o un insegnante, ad esempio): si chiama effetto alone, ed è un altro bias cognitivo che ci spinge a dare per buono qualsiasi cosa dica una persona che teniamo come punto di riferimento. Ma torniamo a noi.
La tendenza a mantenere lo status quo è talmente forte che ci spinge a ricercare tutte le conferme della rischiosità del cambiamento. Questo genera nelle nostre connessioni neuronali l’attivazione di neurotrasmettitori inibitori ogniqualvolta ci accingiamo al cambiamento e, viceversa, ormoni che ci spingono alla produttività e alla soddisfazione quando il cambiamento lo rifugiamo.
Ti racconto un esempio personale: da più giovane ho avuto la possibilità di andare a lavorare presso un’azienda IT in Irlanda, complici le mie ottime competenze nell’ambito. Il mio livello d’inglese, però, al tempo, era appena sufficiente (fortunatamente ho poi avuto modo di migliorarlo!), e questa mancanza mi ha fatto prendere la decisione di restare in Italia.
Uscire dalla mia zona di comfort, imparare l’inglese, mi sembrava una cosa troppo grande da conquistare: mi sono così lasciato frenare dal bias dello status quo.
Anche per gli studenti questo bias rappresenta spesso un ostacolo all’ottenimento di un cambiamento funzionale: basti pensare a tutti quei giovani che accedono all’università per seguire le orme di un genitore, scegliendo a volte facoltà non proprio vicine alle proprie passioni.
Mi viene in mente un altro esempio reale, di una giovane architetta che mi raccontò che avrebbe preferito lavorare nel campo della danza ma che, per assecondare le scelte genitoriali, si ritrova oggi a fare, appunto, l’architetta.
Fortuna vuole che l’architettura coinvolge in qualche modo anche una preferenza di intelligenza legata al mondo dell’arte, intesa come creatività, design, sviluppo di idee. Per questo, nonostante avesse un desiderio specifico, il “ripiego” le ha comunque permesso di assecondare e incanalare il suo talento artistico.
Questo non succede sempre, però, per cui scegliere di cambiare, una volta intrapreso un percorso di studi o una carriera che scopriamo non fare al caso nostro, diventa tutt’altro che facile.
Stesso discorso dicasi per le scelte progettuali o di mercato di un’azienda: questa è fatta di persone, e se le persone sono poco inclini al cambiamento difficilmente possono trasformare le procedure, le modalità di assunzione, la ricerca di personale, e così via, perché rimangano al passo coi tempi. Se ti interessa, ho approfondito l’argomento nell’articolo Cosa si intende per VUCA e cosa comporta per la tua azienda.
Bias dell’avversione alla perdita (con esempio)

Un altro bias è quello dell’avversione alla perdita: ci spinge anch’esso a rimanere nello status quo per evitare il rischio di perdere qualcosa che già abbiamo, perché il cambiamento va in contrasto con il nostro bisogno di sicurezza e controllo..
Lo spiega molto bene lo psicologo statunitense Daniel Kaneman, con un ragionamento (che prende il nome appunto di concetto Kaneman) che nel 2022 gli ha fatto guadagnare il premio nobel per l’economia: la maggior parte delle persone tende a percepire le perdite con maggiore intensità rispetto ai guadagni.
Kaneman, assieme al collega Amos Tversky, ha teorizzato che l’essere umano ha bisogno di “guadagnare” il doppio di quanto “perde” affinché l’assunzione del rischio gli sia indifferente!
Ad esempio, immagina di essere in una posizione manageriale, e che la tua azienda desideri darti un nuovo incarico prestigioso, ma che può portarti lontano dai tuoi cari, dalla tua famiglia. In questo caso può essere una bella sfida combattere il bias di avversione alla perdita, la quale comprenderebbe le relazioni, gli affetti, la comodità della famiglia.
Potrei farti tanti altri esempi; si capisce da sé che situazioni comuni di cambiamento aziendale subiscono e subiranno sempre l’impatto di questi bias.
Ricorda che l’essere umano è in continua evoluzione, ma il nostro cervello è sempre figlio dei nostri antenati: ancora oggi, su ogni nostra decisione, è prevalente il senso di sicurezza, di controllo, di sopravvivenza personale e della specie, più di quanto ci rendiamo conto.
Come sfruttare i bias cognitivi sul lavoro
Ora che siamo maggiormente consapevoli dei meccanismi mentali dietro alle nostre decisioni, sarai felice di sapere che possiamo utilizzare i bias cognitivi a nostro vantaggio.
Tutto inizia e finisce con la variabile tempo: se il bias cognitivo, per definizione, serve a farmi prendere una decisione rapida, risparmiando energia, se faccio in modo di avere una sufficiente quantità di tempo per prendere quella decisione, posso trovare il modo di mettere in discussione il bias stesso.
Come?
Puoi farlo ponendoti delle domande che vadano nella direzione opposta alla decisione che stai prendendo oggi, in base alle informazioni che il tuo cervello ha, alle esperienze e allo stato emotivo. Cosa diversa se hai poco tempo: lì devi agire di pancia e poi, eventualmente, fai degli aggiustamenti.
Un altro modo può essere acquisire il numero maggiore di informazioni possibili sulla situazione che devi affrontare, oppure confrontarti con persone di cui ti fidi: più persone, più esperienze, più punti di vista, più possibili soluzioni!
Cambiamento e stress
Dopo che hai capito come funzionano i bias cognitivi che impattano il cambiamento, l’altra variabile che devi tenere sotto osservazione è quanto sei o ti ritieni stressato.
Lo stress, per sua natura, inibisce alcune connessioni neuronali (guarda caso, proprio quelle che favoriscono il cambiamento!) e mette in circolo cortisolo e ormoni come l’adrenalina, utilissimi per situazioni di attacco e fuga, meno in quelle che necessitano di valutazione strategica, come il cambiamento.
Pertanto, se ti trovi in un momento della tua vita in cui ritieni di essere particolarmente stressato, prima di prendere una decisione valuta opportunamente, silenzia i bias, applica su te stesso tecniche di rilassamento e respirazione, mantieni idratato il tuo corpo e quindi il tuo cervello e utilizza un linguaggio consono al progresso. Infine, valuta la possibilità di rivolgerti a un professionista qualificato.
Come affrontare il cambiamento
Torniamo alla domanda iniziale: il cambiamento è un problema o un’opportunità?
Il cambiamento fa parte della nostra evoluzione come esseri umani; fa parte della trasformazione sociale, culturale e storica del nostro tempo.
Come possiamo, però, rendere più facile l’approccio al cambiamento?
Utilizzando meglio quel chilo e mezzo che abbiamo tra le orecchie, il nostro cervello. Se è vero (ed è vero!) che il cervello e i processi mentali sono fautori delle nostre scelte, sta a te prendere in mano le redini del gioco e partire a spron battuto, lavorando di fino sulla tua crescita personale.
Cambiare viene visto sempre come qualcosa di deleterio e, a onor del vero, è giusto che si abbia piena consapevolezza di cosa accadrà prima di abbracciare un cambiamento.
Ci sono vari modi per valutare il vantaggio di un cambiamento, ma il mio preferito è quello del porsi delle domande aperte che favoriscano il ragionamento.
Ad esempio, potresti chiederti: cosa accadrebbe se cambiassi questa cosa nella mia vita o nel mio lavoro o nello studio?
Può essere d’aiuto anche l’aprirsi al confronto e alla ricerca: trova articoli o libri che ti rendano consapevole di cosa vuol dire cambiare.
Il supporto di un professionista può essere determinante: il parere di un elemento esterno a tutte le tue valutazioni inconsce può aiutarti a trovare un nuovo punto di vista, fresco e inaspettato.
Molto spesso ci sono risposte che non vorremmo dare a noi stessi, ma potremmo darle ad altri, se ci fanno le domande giuste.

Istruzioni per allenare il cambiamento
Perché ti risulti sempre più facile approcciarti al cambiamento, ti lascio 9 punti che ti aiutino a diventare più flessibile mentalmente. Cerca di incrementarne nella tua routine almeno quattro.
- Apporta piccoli cambiamenti alla tua quotidianità: bastano gesti molto semplici, come lavarsi i denti con la mano opposta a quella che usi normalmente;
- Se sei una persona ricettiva (e tendi dunque a chiuderti in te stesso prima di prendere una decisione), sforzati a usare un modello comportamentale espressivo (più aperto agli altri), o viceversa. Trova degli argomenti che ti mettono a disagio e sforzati a fare uso dell’approccio opposto al tuo solito: così facendo stimoli parti del tuo cervello che generalmente usi di meno, e crei nuove connessioni neuronali (parlo della differenza tra ricettività e espressività nell’articolo Neuro-Agility Profile: cos’è e perché è importante conoscerlo, se ti interessa saperne di più!);
- Utilizza esercizi che rafforzino il pensiero laterale: se ne trovano tanti su internet, ma te ne lascio uno che uso frequentemente con i miei clienti.

Immagina di trovarti nel bel mezzo di una situazione da risolvere in azienda: stai facendo brainstorming con i tuoi colleghi ma sembra impossibile trovare una soluzione. Un buon esercizio per far ripartire gli ingranaggi può essere aprire un vocabolario e pescare tre parole a caso: considera questi tre vocaboli e forza delle connessioni tra di essi e il tuo problema da risolvere. Ti stupirai delle nuove associazioni mentali che usciranno fuori!
Questo tipo di esercizi hanno soluzioni diverse in base ai tuoi schemi di pensiero: allenare questi schemi ti permette di uscire dai tuoi processi di pensiero abitudinari, aiutandoti a sviluppare un maggior spirito critico rispetto al quotidiano.
- Utilizza un linguaggio di crescita e di apertura, di sviluppo e di progresso. Se quando parli di cambiamento o intuisci che qualcosa sta per cambiare, ti fermi per paura di ciò che potrebbe accadere, imponiti di dirti “okay, voglio capire cosa può portarmi questa nuova situazione” e stimola il cervello con qualche domanda (“come posso trarre vantaggio da questa nuova situazione?”);
- Sperimenta in maniera proattiva il cambiamento. Se c’è qualcosa, anche di piccola entità, che hai sempre voluto fare ma ti sei sentito frenato per paura del cambiamento, falla adesso. Decidi tu quando fare, non attendere di subire: subire un cambiamento genera stress, e lo stress è nemico delle buone scelte;
- Documentati sul cambiamento: fai ricerche per capire come funziona e come funzioni tu nei contesti dinamici;
- Poniti le domande giuste: cosa accadrebbe se cambiassi questa cosa nella mia vita oggi? Oppure, se accadesse una determinata cosa oggi, quale sarebbe il suo impatto sulla mia vita?
- Visualizza il cambiamento: “inganna” il tuo cervello a credere che tutto ciò che immagini sia possibile. Lo scetticismo è controproducente!

Se non conosci il concetto di visualizzazione, fai questo esercizio:
Immagina per un secondo un limone, la sua forma e il suo bel colore giallo; lo tieni in mano e ne senti il peso e la consistenza della buccia ruvida; lo poggi sul tavolo e lo tagli, il coltello affonda nella polpa e ne esce il succo; immagina di portarlo alla bocca e di assaporarlo, trovandolo fresco e un po’ aspro.
Bene, se stai salivando, sei riuscito a visualizzare il concetto: il tuo organismo ha reagito a una situazione che non esiste nella realtà! Se non hai percepito salivazione, continua a ripetere l’esercizio, perché scientificamente funziona;
- Valuta il supporto di un professionista qualificato che abbia competenze concrete, l’esperienza giusta e che possa aiutarti a sfidare la tua zona di comfort.
L’obiettivo di queste azioni è di creare nuove connessioni neuronali che stimolino il pensiero laterale, la flessibilità mentale e che ti aiutino a vedere il cambiamento come opportunità anziché come un problema da gestire.
Potrebbe balenarti in mente la domanda: “Ma se non ho intenzione di cambiare, ora, perché dovrei fare questi esercizi?”.
La risposta la trovi nel bias dello status quo.
Ricorda che nella vita c’è sempre qualcosa da cambiare: il cambiamento è evoluzione, e noi esseri umani proprio non ce la facciamo a rimanere fermi in un punto e a essere contemporaneamente anche felici.
Se mai ti poni la domanda, mai capirai quando è il momento giusto per abbracciare il cambiamento. Non mi resta che augurarti buon cambiamento!